L’estrazione dei diamanti ha rivitalizzato l’economia del Botswana, ma in Africa il modo in cui vengono utilizzati i proventi del settore rimane oggetto di controversie
I diamanti, si sa, sono sporchi di sangue. Il settore è però economicamente vantaggioso per chi li commercia – una su tutte, DeBeers -, per i tagliatori e per le nazioni africane. I proventi dell’estrazione e del commercio dei diamanti finanziano infatti numerosi conflitti in diverse nazioni dell’Africa occidentale.
Nonostante il mercato abbia subito un’inflessione significativa dal 2019 a causa dei diamanti creati in laboratorio, indistinguibili da quelli naturali, meno costosi e più etici, l’estrazione di questa pietra preziosa continua.
Secondo un gruppo di esperti delle Nazioni Unite oltre 24 milioni di dollari in diamanti sono stati introdotti clandestinamente dallo Zimbabwe anche dopo che le esportazioni erano state bloccate.
Con l’aiuto di questi proventi le forze di sicurezza statali perpetrano violazioni dei diritti umani. Nemmeno il Kimberley Process Certification Scheme del 2003 sembra poter nulla contro un mercato eticamente corrotto. La Certificazione si può applicare difatti solo ai “movimenti ribelli” che “cercano di minare i governi legittimi”.
Così, come spiega Alice Harle dell’ONG per i diritti umani Global Witness “resta molto difficile per i consumatori sapere come i diamanti siano finiti nelle gioiellerie di Londra o New York”.
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